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1^ edizione del Gran Premio delle regioni Piemonte e Valle d'Aosta 100 Km Ultramarathon.

ultratrail torino st vincent

Spalancando di buon mattino le persiane della mia stanza, l’odore dell’aria gelida e la brinata notturna mi riportano indietro al week end appena trascorso. Iniziato venerdì a sera inoltrata, quando in solitaria (è la prima volta) mi sono messo in viaggio verso  Sant Vincent; sede d’arrivo della 100 km gran premio delle regioni  Piemonte e Valle d’Aosta alla sua prima edizione. Un’ araba fenice, simboleggiante come la tradizione impone, “morte e rinascita”.

Riemersa a “nuova vita” dalle ceneri della più antica ultramaratona italiana, la Torino Sant Vincent nata nel lontano 1964.

Tutto ciò grazie al lavoro di  squadra di persone volenterose e amanti di questa disciplina, capeggiati da Enzo Caporaso.

In macchina  con me pochi effetti personali, uno zaino pieno a tappo di indumenti, spinti disordinatamente a forza al suo interno; ed un piccolo camel bag riempito con lo stretto necessario per la gara.

Il restante vuoto nell’ auto, colmato dal tanto  affetto di coloro che in questo periodo mi hanno fatto sentire la vicinanza ed amicizia. Da quello misto, preoccupazione e raccomandazioni logiche e comprensibili di Barbara, Francesca e Luca, i miei  pieni!

Nel viaggio non è mancato il momento dello stupore, giunto al tramonto del sole. Il quale, scivolando dietro alle maestose vette ha sfumato il cielo dapprima di   una tinta calda accesa, in seguito  mutando  magicamente i  colori, raffreddandoli tenuamente, fino all’epilogo crepuscolare del giorno, regalando poesia a questi giganti alpini.

Inutile raccontare quanto e se ho  dormito…avete presente il singhiozzo?

La mattina di sabato dopo una colazione abbondante (…era dai tempi del viaggio di nozze) come da programma, per coloro che hanno scelto l’arrivo quale “campo base”, una gentile signora dell’agenzia turistica di soggiorno, dopo l’appello ci convoglia su un pullman della locale società di trasporto pubblico per accompagnarci a Torino. Nel viaggio i primi contatti con coloro che nel volgere della giornata animeranno la corsa. Tutti accompagnati da amici o parenti.

Per fortuna la mia solitudine mi obbliga  a svestirmi del mio carattere schivo e solitario, che generalmente mi accompagna nella vita, eccezion fatta per questo veicolo che sto utilizzando.

Così:  sogni e realtà, dubbi e certezze  si fondono in un unico brusio, dal quale emerge ancora una volta, che l’ essere umano  quando viene coinvolto in  “qualcosa di squadra” riesce a mostrare la parte meno peggio di se. In questo caso a farne le spese, sono le mogli le quali vengono temporaneamente emarginate. Ma si rifaranno con gli interessi …o no!

La sede di  ritrovo e partenza è un’enorme concessionaria d’automobili, sponsor della manifestazione, lascio a voi  immaginare quale possa essere, visto la città in cui ci troviamo… non potrebbe esser diversamente.

Fa freddo, mettersi in braghette e canotta è da pazzi, no meglio da podisti. Comunque all’interno è tutto prestabilito, con tanto di colazione, zona bagni e spogliatoio. Direttore di gara, è il testimonial del principale sponsor di questa ultramaratona, Gelindo Bordin  olimpionico  a Seul ’88. Il quale si cala perfettamente nel copione, distribuendo strette di mano, posando in fotografie, mietendo sorrisi e consigli ai 147 iscritti partenti…ne arriveranno 86!

Lo sparo dello starter segna il via della corsa, liberando i runners dalle tensioni accumulate, i quali finalmente possono lasciare da parte i se e i ma, dando senso al loro essere presente a questa, oserei dire  esperienza interiore, esame di vita.

I primi km sono i meno piacevoli, in quanto formati da lunghissimi rettilinei, interrotti parzialmente da qualche rotonda. Fosse non altro, utili per carburare e soprattutto uscire da questa parte di periferia di Torino. Periferia uguale a quella di tante altre grandi città.

Il cantautore/storie di vita vera, Pierangelo Bertoli in una canzone dal titolo “Sud”, descriveva magistralmente e a suo modo  nel ritornello com’è: “E’ sempre uguale il sud, in tutto il mondo è uguale…”. - Ritengo appropriato  anche per la periferia. -

I primi comuni a venirci incontro di seguito: Leinì e  Lombardone,  molto città e poco paesi. Mercati rionali del sabato, lavaggi d’auto a gettone,  capannoni industriali chiusi per festività. Pochi curiosi ai margini della strada a chiedersi della nostra presenza, qualche urlo più o meno d’incitamento, colpo di clacson tiepidi applausi. I monti la in fondo a formare sagome  ancora lontanissime!

Campi spogli di pannocchie di grano e di girasoli, suggeriscono il confine tra comuni  di periferia e paesotti veri e propri. Al 25 km giungiamo a Feletto dove al ristoro viene distribuita la pizza, gradita a tutti. Intanto nel mio correre, ho già  incontrato da diversi chilometri, Andrea di Como. Correndo alla stessa andatura abbiamo modo di fraternizzare.  Andrea è un artigiano del mobile, fa divani, un uomo semplice, il quale mette a mia disposizione un mondo d’esperienza. A 38 anni, ha già corso 19 Passatore di seguito. Sorridendo mi confessa che un altr’anno non potrà mancare in quanto sarà il ventesimo suo anniversario con la classica appenninica. Inoltre mi spara giù un elenco di altre ultra compresi  due UTMB e diversi  che neanche sapevo esistessero. Ad esempio la Nove colli duecento e passa chilometri, affrontata la settimana prima del Passatore! Mi indica col dito  un runners che salta il rifornimento “…vedi quello li, è Lucio  un bergamasco “matto” è colui che fra le tantissime altre,  ha partecipato a …una dozzina/quindicina!? di Spartahlon gara che rievoca il percorso fatto da Filippide/Fidippide dir si voglia, fra Atene e Sparta per annunciare…246 km!

Corre senza mangiare e bere per tantissime ore. A corso di seguito  la Nove colli e il Passatore ritornandosene indietro a Firenze con le sue gambe! Queste ultime parole conferite nel mentre lo raggiungiamo, e lui  il Bazzana, barba grigia capelli raccolti con un piccolo muccio, con l’accento delle sue parti sorridendo ribatte: “…si ma quella volta li ho rischiato veramente…”

La compagnia di Andrea dura una ventina di chilometri nei quali fatica, noia e angoscia, vengono sommerse dal piacere di ascoltare queste vere e proprie avventure. Andrea mi tranquillizza, dispensa consigli: “…dai che stai andando bene”. Una sua sosta,  sapete di quelle li… ci separa. Rivarolo, Agliè, Baldissero  e  Vidracco  lungo i dritti fra campi e canali, fra arbusti e pioppi, ragazze nigeriane svuotate dentro l’anima, riempita con poche parole ripetute all’infinito: bocca,  .... e ....!

La strada ci  accompagna in direzione del Canavese, inizia a salire, paesi finalmente tali e molto caratteristici. Borghi antichi pieni di fascino, si alternano, di origine romana e medioevale.

Indovinata la scelta degli organizzatori di far entrare i corridori nel cuore dei centri abitati. E’ un viaggio nella storia antica di un tratto della nostra penisola, vecchie locande, cantine, si respira profumo di “viaggio nel tempo”.

Tra Vistrorio e Alice (superiore) attraverso un’ impegnativa salita di circa tre km, raggiungiamo il 50° km!

Siamo in quota, al “gran premio  della montagna” tira aria fredda, ad accogliermi un gazebo con un gruppo di volontari che mi regalano tanti sorrisi ed in bocca al lupo, offrendomi the caldo, sali, coca…cola, pane e salame,  marmellata, banane, mele etc.

In terra un mucchio di sacchetti e zaini, tra i quali c’è pure il mio. Rapido spogliarello per levare la mezze maniche e canotta, irrigidita  dai sali corporei persi nelle prime cinque ore di corsa e indosso, canotta e manica lunga ricordi passati della mezza di Novi (‘06/’07). Infilo i fuseau e un pile nel camel… riparto. Tempo pochi metri e mi accorgo di aver scordato 4 mele cotogne, messe in borsa da mio figlio con la raccomandazione di mangiarle: “…fanno bene a chi fa sport”. Già che ci sono indosso anche l’antivento come ulteriore barriera isolante verso l’esterno. Scendendo per i tornanti, somiglianti il tratto di strada Creto San Siro, inizio il mio personale duello con i cani che abitano le graziose villette e case coloniche disseminate lungo la discesa che mi conduce prima a Lessolo e dopo a Baio Doria.Cagnetti minuscoli ma,  cattivi come l’aglio, loro ad inveirmi con gli stridi ed io difendendomi ringhiando come un quadrupede.

Viceversa i  più grandi ad accompagnare la mia corsa, divisi dalla recinzione, (uno con uno scatto secco mi ha portato un pallone morsicato, come a dire giochiamo?)

Entrando a Quassolo, nascosti da una curva dietro un palazzo, un folto gruppo  d’abitanti mi accoglie come un  “trionfatore” dispensandomi grida ed applausi calorosi, veri toccasana “allontana fatica”.

Sulla sinistra un cortile di giochi pubblici, bambini che corrono dietro un pallone. Un biondino si avvicina alla ringhiera e mi urla: “Dai che sei 24°…ma ce la puoi anche fare , sorride e s’allontana”.

Ecco un aspetto importantissimo e fondamentale  per la riuscita di questa 100, è stata la solidarietà che ho incontrato lungo questa interminabile avventura.

Prima in assoluto: …i dai, i tanti cinque,  i sorrisi dei bambini, col loro animo incontaminato capaci insieme alla  loro gioia innata,  di dispensare inconsapevolmente una ventata di leggerezza.

Tutti coloro che volontariamente hanno regalato calore e calorie nei vari punti di ristoro disseminati lungo il tracciato.  Fermi al l freddo, al buio dispensando anche supporto morale. Essi da una parte, a domandare il perché di così tanti km, io dall’altra a chiedere il senso del loro attendere.

Noi podisti  arriviamo,  corriamo, ce ne andiamo …a volte lamentiamo;  dimenticandoci che senza la generosità dei volontari, la loro presenza tutto questo risulterebbe impossibile.

 

Ho  avuto  il sostegno e la partecipazione da parte degli  accompagnatori (congiunti o amici) facenti veci  d’ammiraglia ai loro cari…podisti.

Un aiuto sincero mosso dall’altruismo e dalla cultura sportiva…eccezionale!

 

La strada e la notte iniziano nuovamente a salire, gradualmente. Si scivola via dal Piemonte (nel quale ho visto scorci di panorama mozzafiato) per approdare dopo l’attraversamento di Quincinetto e Carema  in terra aostana. Il fondovalle si presenta stretto, spazzato da venti, attraversiamo la Dora Baltea per spostarci dall’altro versante (est). Il freddo incalza la sera, spingendola a dimora per lasciare il passo al buio. Buio dapprima tollerante, disponibile al dialogo. Prima di avvolgere tutti e tutto nel suo immenso  mantello, ci consente d’ammirare Pont Sant Martin, situato all'inizio della valle, alla base della valle del Lys.  Conserva ancora i resti dell'antica strada romana per la  Gallia. L’oscurità copre vigneti bassi, strappati alla roccia, nascondendo l’attigua autostrada che corre verso il monte Bianco,

amplificando la solitudine dei runners.

Attraversando il vicino paesetto di Donnas 76° chilometro si fa in tempo a scorgere su di una vecchia facciata la scritta/motto del periodo fascista:

“Camminare e costruire e se necessario combattere e vincere” vi posso assicurare che l’ho fatta mia!

Arnad è famosa per il suo lardo, lo so perché ne ho mangiato parecchio nel corso dei miei trascorsi estivi. Al ristoro trovo vin brulé pane salame, birra e ragazzi che m’invitano a beneficiarne. Sorridendo prendo pane  salame…e polase!

Spiegando loro che magari…ma semmai più tardi! “…ok se passi di qui al ritorno noi ti aspettiamo…”

E’ notte senza luna (vecchia), alzando gli occhi al cielo si scorge nitida l’orsa maggiore che disegna il suo grande carro nel quale salirei volentieri. Le stelle sono ora la mia guida morale, brillanti a nord, luccicano indicandomi la via.

Ho attraversato un buio totale. Sembrava verniciato!

Tenebre spezzate da rumori selvatici nella boscaglia ai lati della carreggiata. Dal passaggio di automobili e dalla mia lucina stretta nella mano. Altresì…

infranta da un viaggio nell’anima e nel cuore, per dare risposta al mio essere qui, al mio cercare cosa, ai perché che mi hanno spinto!

Ho quelle risposte che mi consentono di salire a Sant Vincent. Mi spinge il ricordo di un amico scomparso tragicamente pochi giorni fa. In un certo senso mi corre a fianco, lo percepisco.

E poi c’è tutto l’affetto caricato in macchina per colmare la solitudine del “viaggio” intrapreso.

 

La salita prosegue interminabile, dopo tutti questi chilometri e camminando,  può non finire mai!

L’ultimo gazebo lo vedo lontano, ma è quello che mi da l’ultima spinta a correre “dai che è finita!”mi grida un volontario infreddolito. Ecco Sant Vincent, luminosissimo, giro panoramico, far l’hotel Billia e il Casinò ed ecco con l’ingresso nel centro storico l’arco del traguardo.

…scusatemi  del trionfo!

 

Di Gilberto Costa

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