Le “atlopatie” (o lesioni croniche da sport) rappresentano un tipo di lesione nelle quali l'agente eziologico non produce il danno in modo repentino e violento, bensì agisce con intensità relativamente modesta, ma prolungata nel tempo.
Nell'ambito della traumatologia cronica dello sport, il meccanismo lesivo è insito nella stessa pratica sportiva, che tramite la ripetizione di gesti atletici, o comunque di specifici movimenti, sottopone le strutture dell'apparato locomotore (ossa, articolazioni, legamenti, tendini, ecc.) a microtraumatismi recidivanti, le cui conseguenze a lungo termine sono in rapporto da una parte all'intensità e al tipo di stimolo (tempi eccessivamente lunghi, carichi elevati, ecc.)...
... dall'altra alla predisposizione individuale (non tutti gli atleti rispondono allo stesso modo a parità di sollecitazione). A seguito del continuo ripetersi di questa sollecitazione, definita "sovraccarico funzionale", si possono verificare lesioni microscopiche alle quali i tessuti interessati reagiscono con un processo infiammatorio, dalle caratteristiche differenti a seconda che interessi il tendine vero e proprio (tendiniti), il passaggio muscolo-tendine e/o il passaggio tendine-osso (patologia inserzionale), oppure ancora le strutture articolari, in particolare le cartilagini di articolazione (condropatie). In ogni caso, dal punto di vista clinico, la sintomatologia è rappresentata essenzialmente dal dolore, localizzato nelle sedi deputate allo specifico gesto sportivo, e che tende ad aumentare con il movimento, fino a renderlo difficoltoso o impossibile, mentre regredisce con il riposo. Il rapporto tra sede della lesione e disciplina sportiva è in qualche caso così stretto, da dare il nome alla sindrome stessa: tra le più frequenti atlopatie (come già detto all’inizio, questo è il termine correntemente utilizzato in Medicina dello Sport per indicare le lesioni croniche specifiche) si annoverano infatti il "gomito del tennista", la "spalla del lanciatore", il "ginocchio del saltatore", che rappresentano tre classici esempi di patologia inserzionale. Nel gomito del tennista o "Tennis elbow" (ma in realtà riscontrabile anche in atleti praticanti scherma, hockey, ecc. – ne sono peraltro colpite anche persone non sportive, che sollecitano ripetutamente il gomito, ad esempio nello stirare, nell’utilizzare il mouse del computer, ecc.), il dolore si localizza sul versante esterno del gomito, in corrispondenza dell'epicondilo omerale (si parla infatti anche di "epicondilite") dove prendono inserzione i muscoli deputati alla estensione del polso ed alla supinazione dell'avambraccio. Nella spalla del lanciatore (che colpisce peraltro anche atleti praticanti ginnastica, pallamano, tennis, nuoto, sollevamento pesi, ecc.) la lesione interessa prevalentemente la "cuffia dei rotatori"(muscoli sopraspinoso, sottospinoso e piccolo rotondo) e il capo lungo del bicipite.
La sintomatologia è quindi caratterizzata da un dolore sordo sulla parte superiore della spalla con saltuarie irradiazioni lungo la faccia anteriore del braccio. Viene frequentemente denominata "peri-artrite scapolo-omerale", anche se in questo caso il termine è improprio, non essendovi un vero e proprio interessamento articolare. Il ginocchio del saltatore è frequente nel basket e nella pallavolo; in passato si riscontrava anche nel salto in alto, quando veniva utilizzata la tecnica dello scavalcamento ventrale. E' determinato dalle continue sollecitazioni sul tendine rotuleo da parte dell'apparato estensore del ginocchio (muscolo quadricipite femorale).
Dal punto di vista clinico, la lesione si manifesta con una sintomatologia dolorosa che compare di solito a estensione incompleta: abbastanza caratteristica la sensazione di fastidiosa pesantezza che compare dopo che il ginocchio è rimasto per lungo tempo in flessione, ad esempio nella posizione seduta.
Durante l'età evolutiva, e in particolare tra i 10 e i 15 anni, la ipersollecitazione funzionale dell'apparato estensorio del ginocchio può rendere più evidente una particolare forma di osteocondrite giovanile, definita "apofisite tibiale anteriore"o "morbo di Osgood-Schlatter", caratterizzata da dolore, mai violento, a livello della tuberosità tibiale, specie dopo sforzo o alla pressione diretta. Il decorso è del tutto benigno, e la sintomatologia cessa -talvolta spontaneamente- in un periodo compreso tra qualche mese e 1-2 anni. Impone tuttavia una severa limitazione o addirittura la sospensione della pratica motoria.
La sindrome “femoro-rotulea”
La sindrome femoro rotulea è una patologia relativamente frequente nell'ambito sportivo. La sua eziopatogenesi è essenzialmente riconducibile ad un difettoso scorrimento della rotula nel proprio solco, la troclea femorale. La rotula è un anello fondamentale della catena muscolo-tendinea che rende possibile l'estensione del ginocchio (e quindi la deambulazione, la stazione eretta, e la quasi totalità delle nostre attività motorie). In questa catena, la rotula è compresa tra il muscolo quadricipite (il principale muscolo della coscia) e il tendine rotuleo, che, inserendosi sulla tibia a livello dell'apofisi tibiale anteriore, permette di trasformare la contrazione del muscolo in estensione del ginocchio. La gonalgia anteriore che accompagna questa patologia è di solito un dolore subdolo, tipicamente anteriore, tutto attorno alla rotula.
Spesso è addirittura solo un fastidio, che si manifesta in prevalenza quando il paziente è costretto a rimanere a lungo seduto, con le ginocchia flesse. Anche la discesa delle scale può essere dolorosa, mentre difficilmente si avvertono disturbi nella camminata in piano. Il dolore può rivelarsi altamente limitante nei confronti della pratica sportiva. In particolare, alcune discipline sportive, che prevedano dei piegamenti degli arti inferiori di una certa entità possono contribuire all'insorgenza della patologia. Dal punto di vista diagnostico, l’indagine più utilizzata è la radiografia cosiddetta “a volo d’uccello” (proiezioni assiali a 30° - 60° - 90° di flessione), in aggiunta alle proiezioni standard del ginocchio, che permette di esaminare, a diversi gradi di flessione, la posizione della rotula rispetto al solco trocleare. In alternativa, la TAC con metodica “lionnese” (in pratica,anche in questo caso, una proiezione assiale dinamica).
Il trattamento della Sindrome femoro-rotulea è nella maggior parte dei casi di tipo riabilitativo, e deve tendere al potenziamento selettivo di quella parte del muscolo quadricipite (vasto mediale) che permette di correggere il cattivo scorrimento, mentre deve mirare all'allungamento altrettanto selettivo di quella parte che contribuisce al cattivo scorrimento (vasto laterale). Può inoltre essere consigliato l'uso di particolari ginocchiere rotulee, su indicazione dello specialista ortopedico. I casi refrattari alle cure kinesiterapiche sono spesso candidati a terapia chirurgica.
Articolo tratto da “Qui Veneto Sport, giugno 2009 - Coni”