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Corsa, pensieri e persone - 5.0 out of 5 based on 3 votes

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Un nuovo racconto di Simone. il   Il meno contorto tra tutti i suoi scritti. Molto ghiotto, da leggere d’un fiato.

lago di garda

Non è immaginabile uscire una mattina come questa e non pensare a quanto c’è di bello in questo cazzo di mondo.  Sono le sei e mezza ed il cielo è un brivido blu. Un cielo terso che mi ricorda il “planetario”, anche se dovrebbe essere il contrario; per capirci, è come quando un bambino assaggiando una pesca trova, con stupore, che assomigli molto al fruttino o alla sua merendina preferita. Uscendo c’è il solito fastidio, intorpidimento, mancanza di vitalità con in mente...

...solo la promessa fattami la sera che al mattino sarei andato a correre. Gambe legate e freddo è il primo vero sentire. Scale alla Fracci: in punta di piedi, cancelletto ghiacciato, strada deserta. Testa bassa e via verso il Lago. Silenzio dei meno cinque rotto, che non è la parola giusta, solo dal cadenzato sciabordio dell’acqua. Alzo gli occhi e vedo la bandiera all’orizzonte, o meglio: il sole sta arrivando e traccia una fascia di un colore arancione caldo che si trasforma immediatamente in un giallo-verde e poi il blu vero. Alzo la testa del tutto, tanto la passeggiata è libera e mia, che stellata! Siamo spesso troppo impegnati a guardare ad altezza d’uomo che ci perdiamo i sogni. Guardo in alto dicevo, con il rischio di prender una panchina di tibia ma è più forte di me. Rischio, tanto non disturberei nessuno, son tutte felicemente vuote.

Lascio che i miei occhi vadano lontano e mi godo l’aurora. Questo sorgere del mio sole si tradisce solamente perché è ad est altrimenti potrebbe essere un tramonto. Intorno a me tutto tace ed io volo.

Volo nonostante i miei ottanta chili, volo nonostante.

Che bello correre. Se tutti corressero non ci sarebbero più guerre, l’ho sempre pensato; ho alcune teorie a sostegno della tesi ma si mescolano molto e non so se riuscirete a seguirmi con la facilità.

Il Podismo nasce come movimento intorno agli anni ’70 in California. Prima di allora non si correva; so che sembra strano ma è così. Correvano solo gli atleti, non esistevano ne scarpe ne manifestazioni per praticarlo. E’ nato perché ce ne era bisogno, è cosa antropologica.

 

Oggi, amatorialmente parlando, esistono tre aree d’ingresso, d’approccio ed io le chiamo così: agonismo, benessere e sopravvivenza (naufraghi e naufraganti).

Evidentemente sono tre modalità non molto e non sempre distinguibili ma comunque.

L’Agonista vede quella persona o quella parte di persona che vuole il confronto, la battaglia e gareggiando si mette al riparo da altri possibili scontri giornalieri, risulta uno sfogo, non è un pacifista ma il risultato è lo stesso. Spesso viene da altri sport ed accompagna la prestazione domenicale con un distaccato: ah se avessi iniziato a correre da giovane …

Il Salutista nell’accezione più blanda (che in realtà non lo sarebbe è obbligato a diventarlo), è quello che inizia per dimagrire, per rimettersi in forma, per riuscire a far le scale o semplicemente perché il medico condotto lo ha minacciato dopo averlo trovato positivo ai trigliceridi. Questo soggetto non è mai stato un problema per la tranquillità pubblica ed è il pacifista per antonomasia, fosse per lui le questioni si risolverebbero tutte a cena.  P.S. puoi correre con un primo obbiettivo di dimagrimento ma poi devi switchare e correre per te.

 

Il Naufrago è colui che lotta per la sopravvivenza, è colui che ha come solo obbiettivo il miglioramento della specie. Ne esistono di molti tipi. Naufraghi perché tutti gli appartenenti a questa categoria si sentono (senza esserlo in realtà) soli, unici, ai margini della società ma attenzione … per scelta.

Il primo è il Naufrago capitano ed è colui che ha una missione, corre ma non per correre; la corsa è per lui un mezzo per riuscire a costituire un gruppo per poi comandarlo. Poteva appassionarsi alle bocce o la caccia ma ahinoi ha scelto la corsa. Soggetto carismatico ed emblematico che per veder affermato il proprio dominio è capace di tutto; tende a denigrare i nuovi adepti accattivandosi le simpatie dei vecchi e gioco forza consolida la propria posizione in una sorta di sua caserma mentale. Altra caratteristica è quella di bocciare le iniziative altrui e di creare simpatiche sfide interne tra i suoi scudieri, (divide et  impera) liberi solo di scegliersi i compagni.

 

Il secondo è quello senza stato di coscienza, il Naufrago strano pratica il podismo senza troppi ma e senza troppi se, corre da sempre, addobbato approssimativamente, si sente meglio dopo una corsa; e questo è tutto.

Il Naufrago cosciente (o fashion) invece è quello che si sente il discendente naturale di Pierre De Coubertin. Non è abituato a combattere, ha sempre avuto tutto a disposizione. Ha sempre trentasette e due, come i nobili. Il Naufrago cosciente è lo Yuppie redento, un soggetto elitario, un radical chic vero. Il cosciente ha iniziato presumibilmente quattro o cinque anni fa ascoltando Linus e Nicola su Radio Dee Jay o perché coinvolto dall’amico (quello che è sempre stato un tipo giusto sin dai tempi della scuola) e ora si fa di maratone transoceaniche. N.b. elemento imprescindibile: essersi fatto New York.

In ultima c’è il Naufrago navigatore esploratore ed è quello al quale è rimasta attaccata la nave, è quello che piace a me. Viaggia da solo, anche per dimostrazione (ma non lo ammetterà mai): è il più fico di tutti, non c’è storia ma non è sempre simpatico anzi diciamo la verità è anche un po’ stronzo, e diciamola tutta: lo fa apposta! Lo riconoscete dall’auto, o ce l’ha bellissima ma trascurata o vecchia e sgangherata a dimostrare che lui non è più di questo tipo di mondo; per capirci: non ha una Passat nuova o una A4. P.S. anche nel Naufrago cosciente può esserci questa condizione di vetture ma tendenzialmente la ha bella-bella tipo una Range o giù di li, ma pulita ed in ordine per via della forma mentis impartitagli alle Stimate o all’Aleardo Aleardi. P.S. 2 Nessun Naufrago farebbe del male ad altri; si sentono tutti degli esiliati politici.

Scuoto  la testa e ho fatto due chilometri. Sono al Porto dei Cappuccini. Chiudo il pensiero perché lo scenario torna ad esser magico, non che questa tratta non lo fosse è che era tutto vicino: le piante, il canneto, invece ora si apre l’orizzonte e vedo il mondo. Rivedo il cielo con una gradazione impercettibilmente più chiara, ma sono circa quattordicimilaseicento giorni che vedo come funziona e sono prevenuto: anche oggi farà giorno.

Le stelle sembrano lucette che fendono la coperta blu. Mi giro a sinistra ed essendo un amante delle skyline osservo il bordo delle montagne; quel difficilmente toccabile che divide l’irraggiungibile. Bello, lo vedo anche leggermente riflesso nell’ancora buio lago cangiante dal riverbero della poca luce. Spingo, affondo il pedale, aumento in velocità e torno nei miei pensieri.

Ripenso allo star bene correndo e alle persone o meglio alla gente che fa del male; e penso che, tra le due cose, c’è la stessa relazione che c’è tra un limone ed un treno ma ai pensieri non si può comandare e questi sono i miei. Chissà qual è il motivo, forse è che davanti al bello per enfatizzare il mio stato di benessere lo paragono alle brutture del mondo.

Mi viene alla mente quando tra uomini si combatteva addirittura in campo aperto; campo di battaglia si chiamava e ci si disponeva gli uni di fronte agli altri e si continuava a sparare sin quando uno dei due generali, valutate le  perdite, batteva la ritirata. Roba da matti. Se avessero avuto le scarpe da corsa! Avrebbero potuto affrontarsi in una campestre; o se proprio disporre due squadre, sei contro sei o tredici contro tredici come successe nella Disfida di Barletta. Ma tant’è che ora le scarpe ci sono e le guerre pure.

Spiegavo a mio figlio che è assurdo far del male, picchiarsi per un litigio o per primeggiare da arroganti. Meglio confrontarsi con altro, tipo con rash da cento metri o una partita a scacchi: chi vince ha ragione. Bene, ha sette anni appena compiuti ed ha iniziato a battermi a scacchi! Come me la sbroglio ora?

Perplesso arrivo in fondo al lungolago e mi impongo di guardare dritto avanti, per non subire distrazioni e per tenere quel bel ritmo che mi fa sentire all’interno di una galleria del vento.

Inizio la virata del perimetro lacustre mentre riabbandono l’abitato ed ora, l’acqua è sempre alla mia sinistra, ma l’alba, ancora nascosta, non è più davanti ma dietro e tutto sembra esser cambiato compreso il fatto di poter iniziare ad osservare la mia amata longilinea ombra. Ho preso il ritmo ma la tentazione di caffè è forte e quella tazza di roba nera bollente in un buon posto caldo mi stuzzica. Mi fermo al Bar Sole, che non ci crederete è di fronte al Bar Luna. E la svampita servendomi me lo rovescia addosso. Io sorrido come a dire vabbè oggi tocca a me, anzi, oggi potete farmi quel che volete ma il sorriso di dosso non me lo togliete!

Prende la spugna e viene dalla mia parte del bancone ed inizia a strigliarmi come un puro sangue e vivo un certo imbarazzo misto piacere. Mi rifà il caffè, ormai mi sto raffreddando ma sto zitto perché questa è capace di rovesciarmi addosso il the dalla teiera per scaldarmi. Pago, non me lo offre, è proprio svampita.

Riparto torrefatto e rilancio l’andatura di me cavallo, sono ora nel versante orientale e tutto ha un sapore, come dicevo, stranamente diverso: quanto riesce a fare la luce …

Pischeriae, è corretto, non lo ho coniato io pensando a come veniva chiamata Venezia in latino: Venetiae. Anche se il mio preferito è Ictia e non il più conosciuto Arilica, tutti nomi di Peschiera per chi non fosse lacustre. Pischeriae mi viene a mente perché plurale, più terre e questo è proprio quel che si prova passando ponti e ritrovandosi l’acqua un colpo di qua ed un colpo di là.

Attraverso la strada sulle strisce e l’unica macchina che sta viaggiando in tutto il paese, oltre al camion della spazzatura, è una Cinquecento bianca, new generation, con alla guida una ragazza, non si capisce se è già sveglia o è ancora sveglia e di certo il retrovisore storto puntato sulle labbra, stamane, non aiuta ad aumentare la mia stima sul gentil sesso, fortemente risentito dal caffè e dal fatto che questa con la Cinquecento, osserva il rossetto (alle 7.00 del mattino) muovendo la bocca fatta a cuore a destra e sinistra, che non sia sbavato, e poi fa quel sorriso finto per vedere che non ce ne sia traccia sui denti, come hanno le vecchie; così io, Pedone, mi fermo e la lascio passare la Regina, mi disturberebbe esser mangiato, con una sola mossa, da una che ride. Poi c’è il rischio che sbandi; sciuperebbe tutta l’opera di make up baciando l’airbag.

Un giorno mi piacerebbe organizzare dei corsi per le giovani donne su come si usano i retrovisori, sicuramente non di traverso e puntati sulla bocca.

Torno immediatamente sul litorale, li non ci son auto. Passo dopo passo sono nuovamente in riva al corpo idrico. Arrivo alla mia boa, giro i tacchi (si fa per dire). Pioppi, canale che porta al Mincio, barche a vela ormeggiate come ombrelli chiusi.  Il canale sembra d’argento, “c'est l'argent qui fait la guerre” ma questa è solo acqua che riflette la prima luce del giorno. Avanti un poco, vicino a Porta Verona, vedo un fotografo appostato con treppiede e teleobbiettivo, sembra un cannone. Mi avvicino e gli dico del canale argentato ma non so che credibilità posso avere da sudato e con le candele al naso … bah.

Mi riavvicino a casa, un po’ più di luce, il polpaccetto rigido, respiro e ascolto l’aria entrare in me, sembra acqua gassata; anche sulla pelle delle guance sento lo stesso effetto: acqua gassata, pizzica un pochino ma è un male piacevole e non apro la parentesi del masochismo dei podisti altrimenti non finisco più.  Ciao

Un Simone Cartom Crema

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